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Con la morte di Francesco Rosi perdiamo qualcosa di grande ma acquistiamo anche qualcosa — sostiene Furio Colombo, amico di lunga data del regista per cui recitò anche in Il caso Mattei — perdiamo un uomo ed un regista coraggioso in un’Italia pavida, soprattutto tra i suoi personaggi pubblici. Ma acquistiamo anche
Con la morte di Francesco Rosi perdiamo qualcosa di grande ma acquistiamo anche qualcosa — sostiene Furio Colombo, amico di lunga data del regista per cui recitò anche in Il caso Mattei — perdiamo un uomo ed un regista coraggioso in un’Italia pavida, soprattutto tra i suoi personaggi pubblici. Ma acquistiamo anche l’eredità straordinaria del suo lavoro: l’appello appassionato ad una Repubblica che non è nata ma poteva nascere, nella quale si poteva lottare contro la corruzione, per i diritti civili e del lavoro; in cui la politica invece che interferire nella cosa pubblica per i propri affari ed il reciproco arricchimento poteva intervenire in favore dei cittadini».
Sono in tanti a ricordare il regista di Napoli, uno dei più importanti autori del nostro paese. Con le parole di Daniele Vicari «uno dei pilastri del grande cinema italiano». Per il regista di Diaz, « il ricordo più vivido risale ad un paio di mesi fa quando venne al Cinema America di Roma. Ai ragazzi disse parole straordinarie. In particolare, ringraziandoli, disse che vedere un film insieme significa condividere tante cose, significa condividere la vita».
All’amico e collega Ugo Gregoretti non va di usare «le solite frasi di circostanza un po’ lagnose». «Dico solo che mi dispiace — osserva il regista — perché eravamo amici e perché l’ho sempre ammirato».
A ricordarlo è anche il compositore Ennio Morricone, che lavorò con lui in Dimenticare Palermo: «in quell’occasione Rosi fu gentile e pieno di calore; la sua morte per me è un grande dolore. I suoi film sono di livello altissimo, li ho visti tutti».E molti, come già Furio Colombo, tengono a sottolineare l’enormità del suo lascito. Per Roberto Saviano «nessuno come Francesco Rosi ha saputo raccontare il potere. E’ stato coerente fino alla fine».
E l’attore e compagno di scuola Luigi De Filippo aggiunge: «è un grande dispiacere, non solo perché se ne è andato un essere umano di quella portata, intelligente, sensibile, ma anche perché se ne è andato un grande regista. Con alcuni suoi film è stato un portabandiera nel denunciare cose che andavano molto male, penso a Le mani sulla città, Salvatore Giuliano, I magliari … Quando manca una grande intelligenza così, ne subisce la perdita tutta l’umanità, non solo l’Italia».
Franco Zeffirelli lavorò con Rosi come aiuto regista del maestro Luchino Visconti: «Subito Visconti aveva diviso i nostri compiti — racconta il regista — perchè aveva capito benissimo i nostri caratteri. Noi eravamo una cosa sola, ma io mettevo i fiorellini del campo, lui i carciofi con il suo senso della realtà». E, continua «Ho perso molti amici e sono abituato a questi momenti tristi, perché il più vecchio sono io, ma questa volta non si può immaginare con che stato d’animo accolgo questa notizia, perché Francesco Rosi non era un amico, era mio fratello». In definitiva però, come ci ricorda Furio Colombo, «oggi l’Italia subisce una grande perdita ma riceve anche in eredità lo straordinario lavoro di Francesco Rosi»
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