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I fatti di Tor Sapienza ci costringono a guardare in faccia la realtà: in tutta la città sta montando un’intolleranza verso gli stranieri che bisogna affrontare seriamente, prima che sia troppo tardi. E non possiamo limitarci a invocare l’intervento della politica e delle istituzioni: dobbiamo farcene carico tutti, anche noi comitati di quartiere, che possiamo trovare il modo per affrontare i problemi con giustizia e responsabilità, tenendo a bada quell’ ondata di irrazionalità che potrebbe distruggere anni di impegno sui territori.
Mentre il dibattito cittadino continua a squadernarsi sulla vicenda delle multe del Sindaco, il malessere, non solo delle periferie, sta diventando sempre più irreversibile. Per troppo tempo, in una sorta di rimozione collettiva, soprattutto della politica e dell’informazione, l’attenzione si è concentrata (inutilmente) su contingenze come il traffico, il trasporto pubblico, il degrado, senza mai guardare davvero cosa stesse montando in città sotto il solito tran tran. E lo scontento ha cominciato a tracimare, come i fiumi quando piove molto a monte, o come la terra quando frana all’improvviso perchè si sono tagliati tutti gli alberi, finendo inesorabilmente addosso ai soliti “diversi”. Si è creato nel tempo un “humus” micidiale, che è il risultato di quei problemi cronici di Roma mai affrontati sul serio da decenni – la mancanza di alloggi a distanze decenti, le ore di vita perse nel traffico, i quartieri/ghetto senza servizi – a cui si è aggiunta la crisi, che ha cancellato, insieme ai posti di lavoro, quel senso di sicurezza minimo per affrontare le difficoltà della vita senza angoscia, più quella sorta di “mutazione genetica” dei rapporti sociali, con esistenze sempre più consumate in ambiti ristretti e lo smantellamento di comunità, legami, solidarietà.
Si percepisce oggi uno smarrimento generalizzato che va molto al di là delle difficoltà quotidiane, che è in cerca di responsabili da additare. E troppo spesso abbiamo visto il malessere imboccare la strada più facile, quella di difendere la propria dignità a scapito di quella di qualcun altro. Sta succedendo in tutti i quartieri, anche in quelli centrali, lontani dai centri di accoglienza e dai campi Rom, dove si guarda con sospetto l’aumento dei negozi etnici o l’” occupazione” dei giardinetti da parte delle comunità straniere. Succede sul web, in conversazioni di gruppi di cittadini dove si incappa sempre più spesso in considerazioni razziste di cui nessuno si vergogna e di cui nessuno si scandalizza. Intendiamoci, i problemi di convivenza sono drammaticamente reali e sono andati peggiorando, sia per la mancanza di politiche efficaci di integrazione, sia, soprattutto, per le poche risorse disponibili per assicurare a tutti i diritti fondamentali (dagli alloggi ai posti all’asilo). Scarsità di servizi che suscita spesso quel “noi prima di loro” che suona razzista soprattutto a chi la casa ce l’ha, ma che in genere è dettato solo dalla disperazione di chi si sente scivolare verso gradini più bassi della scala sociale. Come è un problema, forse meno appariscente, la mancanza di spazi pubblici di incontro per chi ha pochi soldi: in molte zone della città l’ostilità monta intorno a quelle piazze in cui si danno appuntamento gli stranieri, che spesso diventano luogo di schiamazzi e mondezzai e latrine a cielo aperto. E soprattutto monta dove aumenta la microcriminalità: bisognerebbe capire se è davvero collegata alla presenza di campi o di insediamenti di immigrati, e cercare le soluzioni per riportare un senso di sicurezza nei territori. E garantire “tolleranza zero” per lo spaccio, chiunque lo pratichi. Questioni da affrontare seriamente, ascoltando i punti di vista di tutti e garantendo il rispetto delle regole da parte di tutti. Le istituzioni hanno grandissime responsabilità in quello che è successo, per aver sottovalutato il problema (da anni e anni) e aver lasciato soli i cittadini di fronte a situazioni critiche. Ma la realtà mostrata da Tor Sapienza riguarda tutta la città e ognuno di noi: le realtà territoriali – non solo quelle delle zone “a rischio” – dovrebbero diventare parte attiva anche per la prevenzione o la composizione dei conflitti sociali. Prendersi cura del proprio quartiere è importante, ma non bisogna perdere di vista che vuol dire prendersi cura anche e soprattutto della comunità delle persone che ci abitano. Non possiamo permettere che gli immigrati diventino ancora una volta i “responsabili” su cui si riversa tutta la paura e l’insofferenza del mondo. Facciamo la nostra parte.
annaemmebi@gmail.com
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Leggi anche La pentola a pressione della rabbia sociale I luoghi sono fatti dalle persone, innanzitutto. Poi, ma solo poi, anche i luoghi fanno le persone
14 novembre 2014 di Claudio Lombardi di Carteinregola
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RASSEGNA STAMPA
Europa 12 novembre il video degli scontri
BIBLIOGRAFIA
Le banlieues: immigrazione e conflitti urbani in Europa di Umberto Melotti Meltemi Editore srl, 2007 – 118 pagineL’esplosione dei conflitti nelle banlieues di Parigi e di molte altre città della Francia nel novembre del 2005 ha portato alla luce, in modo eclatante, i nuovi conflitti urbani variamente connessi con l’immigrazione. Questi conflitti, di natura assai complessa (etnica, sociale, generazionale, culturale, religiosa), avevano già cominciato a manifestarsi sin dagli anni Cinquanta in tutti i paesi europei caratterizzati da una significativa immigrazione (Regno Unito, Francia, Germania) e ora si affacciano anche in Italia, ormai diventata il quarto paese d’immigrazione dell’Unione Europea. Il libro affronta la questione da varie angolature, grazie ai contributi di tre noti sociologi da tempo