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Ognuno di noi diventerà sempre di più “prosumer”, cioè produttore e consumatore di energia, informazioni e persino oggetti. Grazie a una Rete sempre più diffusa che ci permetterà di condividere tutto. Una trasformazione già in corso che potrà riportare il benessere in Italia e in Europa. Il grande economista spiega la sua formula.
Lo scorso 9 luglio il primo ministro italiano Matteo Renzi ha inaugurato il semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo, invocando un nuovo, coraggioso piano per la creazione di “un’Europa digitale”. Il premier Renzi e Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione e commissario Ue per l’agenda digitale, hanno promosso una conferenza che ha visto riunirsi a Venezia numerosi leader d’impresa italiani ed europei, e che è sfociata nella “Dichiarazione di Venezia”, un documento per traghettare l’Italia e l’Unione nell’era digitale. Per l’occasione mi è stato chiesto di pronunciare il discorso d’apertura.
Ho spiegato che digitalizzare l’economia italiana ed europea significa ben più che offrire una banda larga senza soluzione di continuità e una rete wi-fi più affidabile. L’economia digitale rivoluzionerà l’economia globale in ogni suo aspetto, stravolgerà il modus operandi in pressoché tutti i settori produttivi e recherà con sé opportunità economiche e modelli d’impresa assolutamente inediti. Un nuovo sistema economico – il Commons collaborativo – sta facendo il suo ingresso sulla scena mondiale. È la prima affermazione di un nuovo paradigma economico da quando vennero alla ribalta il capitalismo e il socialismo. Il Commons collaborativo sta già trasformando il nostro modo di organizzare la vita economica, e nella prima metà del XXI secolo arriverà a creare milioni di nuovi posti di lavoro, a ridurre le disparità di reddito, a democratizzare l’economia globale e a dare vita a una società ecologicamente più sostenibile.
Ad accelerare questa grande trasformazione è, paradossalmente, lo straordinario successo dell’economia di mercato. Le imprese private sono alla continua ricerca di nuove tecnologie per aumentare la produttività e ridurre il costo marginale della produzione e della distribuzione di beni e servizi, così da abbassare i prezzi, attirare i consumatori e assicurare ai propri investitori un profitto sufficiente. Il costo marginale è il costo di produzione delle unità aggiuntive di un bene o di un servizio, al netto dei costi fissi. Ma nessun economista, però, aveva mai preconizzato una rivoluzione tecnologica che, sfociando nella “produttività estrema”, avrebbe spinto i costi marginali verso lo zero e sottratto all’economia di mercato l’informazione, l’energia e un gran numero di servizi e di beni materiali, resi abbondanti e virtualmente gratuiti. Ebbene, tutto questo ha già cominciato a realizzarsi.
Nell’ultimo decennio il fenomeno del costo marginale zero ha seminato lo scompiglio nell’industria dei “prodotti d’informazione”: milioni di consumatori si sono trasformati in “prosumers” (produttori e consumatori) e hanno iniziato a produrre e condividere musica attraverso i servizi di file sharing, video attraverso YouTube, sapere attraverso Wikipedia, notizie personali attraverso i social media, e persino e-book gratuiti attraverso il Web. Il fenomeno del costo marginale zero ha messo in ginocchio l’industria discografica, estromesso dal mercato giornali e riviste, indebolito l’editoria libraria. Pur riconoscendo le notevoli conseguenze legate al progressivo azzeramento del costo marginale, fino a non molto tempo fa gli analisti sostenevano che il fenomeno non avrebbe mai superato il confine che separa il mondo virtuale dalla realtà economica concreta dell’energia, dei servizi e dei beni materiali. Oggi quel confine è stato varcato.
L’internet delle cose
È in atto una nuova, dirompente rivoluzione tecnologica, che metterà milioni (e presto centinaia di milioni) di prosumers in condizione di produrre e condividere energia, così come una sempre più nutrita serie di oggetti realizzati mediante stampa 3D, a costi marginali quasi zero. La combinazione fra l’Internet delle comunicazioni, l’avviata Internet dell’energia e la nascente Internet dei trasporti e della logistica automatizzati sta dando vita all’Internet delle cose (Idc), la piattaforma di una Terza rivoluzione industriale che nei prossimi decenni trasformerà profondamente l’economia planetaria. Miliardi di sensori, collegati a ogni apparecchio, strumento, macchina o dispositivo, raccorderanno ogni cosa e ogni persona in un’unica rete neurale che si estenderà, senza soluzione di continuità, lungo tutta la catena economica del valore. Sono già 14 miliardi i sensori collegati a flussi di risorse, magazzini, sistemi stradali, linee di produzione industriali, reti elettriche, uffici, case, negozi e veicoli, per monitorarne ininterrottamente le condizioni e il rendimento e trasmettere la massa di dati così ricavata, i big data, alle Internet delle comunicazioni, dell’energia e della logistica e dei trasporti. Si ritiene che nel 2030 l’ambiente umano e quello naturale saranno collegati, in una rete intelligente a diffusione globale, da oltre centomila miliardi di sensori. Imprese e prosumers potranno connettersi all’Internet delle cose e sfruttarne i big data e le analisi per elaborare algoritmi predittivi al fine di migliorare la propria efficienza, aumentare drasticamente la produttività e abbattere quasi a zero i costi marginali di fabbricazione e distribuzione dei prodotti fisici, come già fanno i prosumers con i prodotti d’informazione.
Nei prossimi decenni, per esempio, l’enorme quantità di energia che usiamo per riscaldare le nostre case e azionare i nostri elettrodomestici, per alimentare le nostre imprese, per far marciare i nostri veicoli, insomma per fare funzionare ogni componente dell’economia globale, verrà generata a costo quasi zero e sarà quindi pressoché gratuita. È già così per quegli svariati milioni di pionieri che hanno trasformato le loro abitazioni e le sedi delle loro attività in microcentrali capaci di raccogliere sul posto energia rinnovabile. Già prima che il costo fisso dell’installazione di questi impianti solari o eolici sia recuperato (generalmente in un lasso di tempo molto breve che può variare dai due agli otto anni), il costo marginale dell’energia prodotta grazie a essi è quasi zero. Diversamente dai combustibili fossili e dall’uranio impiegato per generare energia nucleare, dove la fonte energetica continua ad avere un costo, i raggi solari catturati sui tetti e il vento intercettato tra gli edifici non costano nulla. L’Internet delle cose consentirà ai prosumers di monitorare il consumo di elettricità nei propri stabili, ottimizzarne l’efficienza energetica e cedere ad altri l’elettricità verde in eccesso attraverso la sempre più articolata Internet dell’energia.
Analogamente, centinaia di migliaia di hobbisti e di start-up sono già impegnati nella produzione in proprio di oggetti tramite stampa 3D, sfruttando software gratuiti ed economici materiali riciclati (plastica, carta e altre materie prime reperibili in loco a costo marginale quasi zero). Nel 2020 i prosumers saranno in grado di scambiarsi prodotti fabbricati con stampanti 3D in Commons collaborativi, affidandone il trasporto a veicoli senza conducente alimentati da propulsori elettrici o pile a combustibile, cioè da energia rinnovabile a costo marginale quasi zero, e supportati da un’Internet della logistica e dei trasporti.
Grazie al carattere distribuito e paritario dell’Intenet delle cose, milioni di piccoli soggetti – imprese sociali e individuali – saranno messi nelle condizioni di cooperare pariteticamente in Commons collaborativi, instaurando economie di scala laterali capaci di bypassare gli ultimi intermediari che nella Seconda rivoluzione industriale, dominio delle grandi aziende globali a integrazione verticale, tenevano alti i costi marginali. Questa fondamentale trasformazione tecnologica del modo in cui l’attività economica è organizzata e portata a dimensioni di scala prelude a un grande mutamento nel flusso del potere economico, che dalle mani di pochi soggetti passerà a quelle delle masse, con conseguente democratizzazione della vita economica.
Gli incrementi di produttività della Terza rivoluzione industriale supereranno quelli della Prima e della Seconda. Secondo le previsioni della Cisco Systems, nel 2022 l’Internet delle cose genererà risparmi ed entrate per 14.400 miliardi di dollari. Uno studio della General Electric pubblicato nel novembre 2012 conclude che nel 2025 i guadagni di efficienza e produttività resi possibili da una struttura Internet industriale intelligente potrebbero interessare tutti i settori economici, investendo “circa metà dell’economia globale”.
L’era del commons collaborativo
Milioni di persone stanno già trasferendo parti o segmenti della loro vita economica dai mercati capitalistici al Commons collaborativo globale. I prosumers non si limitano a produrre e condividere informazioni, contenuti d’intrattenimento, energia verde, oggetti fabbricati con stampanti 3D in Commons collaborativi a costo marginale quasi zero. Condividono tra loro anche automobili, case e persino vestiti, attraverso siti di social media, strutture per facilitare i noleggi, club di ridistribuzione e cooperative, ancora una volta a costo marginale quasi zero.
Questa economia della compartecipazione collaborativa vede attivamente impegnato il 40 per cento della popolazione statunitense. Gli americani che usano servizi di car sharing, per esempio, sono oggi svariati milioni. E ogni veicolo noleggiato in car sharing toglie dalla strada 15 automezzi di proprietà. Allo stesso modo milioni di persone che possiedono una casa o risiedono in un appartamento mettono oggi in condivisione le loro abitazioni con milioni di viaggiatori, sempre a costi marginali prossimi allo zero, tramite servizi online come Airbnb e Couchsurfing. Fra il 2012 e il 2013, nella sola New York le persone ospitate in case e appartamenti grazie ad Airbnb sono state 416.000, facendo perdere all’industria alberghiera newyorkese un milione di pernottamenti. Al “valore di scambio” sul mercato si va sempre più sostituendo il “valore della condivisione” nel Commons collaborativo.
In una società a costo marginale zero la produttività estrema riduce – una volta assorbiti i costi fissi – il costo delle informazioni, dell’energia, delle risorse materiali, del lavoro e della logistica necessari per produrre, distribuire e riciclare beni e servizi. Il passaggio dal possesso all’accesso significa un maggior numero di persone che condividono un minor numero di beni in Commons collaborativi, e una drastica riduzione del numero di nuovi prodotti venduti, con conseguente contrazione dell’uso di risorse e minori emissioni di gas serra nell’atmosfera. In altri termini, la spinta verso una società a costo marginale zero e la possibilità di scambiarsi in Commons collaborativi energia verde quasi gratuita, nonché beni e servizi fondamentali, portano alla più sostenibile ed ecologicamente efficiente delle economie possibili. La corsa all’azzeramento del costo marginale è la chiave per assicurare all’uomo un futuro sostenibile sul pianeta.
Recenti ricerche hanno evidenziato il potenziale economico del Commons collaborativo. Da uno studio del 2012 è emerso che il 62 per cento dei nati tra gli anni Sessanta e il nuovo millennio è attratto dall’idea di condividere beni, servizi ed esperienze in Commons collaborativi. Alla richiesta di indicare in ordine d’importanza i vantaggi di un’economia della condivisione, gli intervistati hanno assegnato il primo posto al risparmio di denaro, seguito dall’impatto sull’ambiente, la flessibilità nello stile di vita, la praticità della condivisione e la facilità d’accesso a beni e servizi. Tra i vantaggi emotivi gli intervistati hanno messo al primo posto la generosità, seguita dalla sensazione di essere parte importante di una comunità, la consapevolezza di vivere in modo intelligente, il maggior senso di responsabilità e quello di appartenenza a un movimento.
Ma quanto è verosimile che il Commons collaborativo arrivi a soppiantare il modello d’impresa convenzionale? In un sondaggio d’opinione condotto dalla Latitude Research, «il 75 per cento degli intervistati si è detto dell’avviso che nei prossimi cinque anni la condivisione di beni materiali e di spazi conoscerà un’espansione». Molti analisti del settore concordano con queste previsioni ottimistiche. Nell’era che si sta profilando le multinazionali operanti in un contesto di mercato capitalistico, dominato dal profitto, resteranno a lungo tra noi, ma in una posizione sempre più marginale, essenzialmente come forza d’aggregazione di servizi e soluzioni di rete, e affiancheranno come efficaci partner il Commons collaborativo. Tuttavia, il mercato capitalistico cesserà di essere l’arbitro esclusivo della vita economica. Stiamo per entrare in un mondo almeno parzialmente oltre i mercati, un mondo nel quale impareremo a vivere insieme in un Commons collaborativo globale sempre più interdipendente.
L’opportunità per l’europa
Potenzialmente l’Unione europea è il più grande mercato interno a livello mondiale, con 500 milioni di consumatori, cui vanno aggiunti i 500 milioni dei territori legati a essa da accordi di partnership, come i paesi del Mediterraneo e del Nordafrica. La creazione di un’Internet delle cose, in grado di collegare l’Europa e i territori a essa associati in un unico spazio economico integrato, consentirà a un miliardo di persone di produrre e scambiare a costo marginale quasi zero informazioni, energia rinnovabile, oggetti prodotti con stampa 3D e un’ampia gamma di servizi in un’economia digitale ibrida, un po’ mercato capitalistico e un po’ Commons collaborativo, con notevolissimi benefici per la società. La Dichiarazione di Venezia per lo sviluppo di un’Unione digitale nel semestre di presidenza italiana è il primo, fondamentale passo per la creazione di un mercato unico integrato.
Predisporre un’infrastruttura Idc per un’economia da Terza rivoluzione industriale richiederà un consistente volume di investimenti pubblici e privati, come già accaduto per le due rivoluzioni industriali precedenti. Nel 2012 l’Unione europea ha investito in progetti infrastrutturali 740 miliardi di euro, gran parte dei quali sono andati a puntellare l’obsoleta piattaforma tecnologica pensata per la Seconda rivoluzione industriale e giunta ormai da tempo alla sua massima capacità produttiva. Se solo il 10 per cento di quei fondi fosse indirizzato diversamente, se cioè in tutte le regioni dell’Unione europea venisse destinato alla costruzione di un’infrastruttura Idc e integrato da altrettanti fondi istituzionali e da altre forme di finanziamento, l’Unione digitale potrebbe diventare una realtà entro il 2040 (a fine 2011 gli investitori istituzionali dei Paesi Ocse contavano risorse per oltre 70.000 miliardi di dollari, di cui appena il 2 per cento risulta investito in programmi infrastrutturali).
L’Internet delle comunicazioni dell’Ue dovrà essere potenziata, a partire dalla diffusione universale della banda larga e dalla copertura wi-fi gratuita. L’infrastruttura per l’energia dovrà essere trasformata, passando dai combustibili fossili e dal nucleare alle energie rinnovabili. Milioni di edifici dovranno essere riadattati, dotati di impianti per sfruttare le fonti rinnovabili e convertiti in microcentrali elettriche. La rete elettrica dell’Unione europea dovrà essere trasformata in un’Internet dell’energia, una struttura digitale intelligente in grado di regolare il flusso dell’energia prodotto da milioni di microcentrali verdi. Il settore logistica e trasporti dovrà essere digitalizzato e diventare un network di veicoli senza conducente, spostati in automatico via gps su reti stradali e ferroviarie intelligenti. L’affermarsi della propulsione elettrica e a celle a combustibile richiederà milioni di apposite stazioni di rifornimento, tutte connesse all’Internet dell’energia. Occorrerà costruire strade intelligenti, attrezzate con milioni di sensori in grado di fornire in tempo reale all’Internet della logistica e dei trasporti informazioni sui flussi di traffico e sugli spostamenti dei carichi merci.
La progressiva instaurazione in tutta la Ue, e nei Paesi suoi partner, di un’infrastruttura Idc digitalizzata e intelligente restituirà lavoro a milioni di europei, genererà nuove occasioni di business sia nell’economia di mercato sia nel Commons collaborativo, propizierà un vertiginoso incremento di produttività e darà vita alla società sostenibile dell’era post-carbonio. L’investimento nelle infrastrutture innesca sempre un effetto moltiplicatore, che si ripercuote nell’intero spettro dell’economia. La ritrovata occupazione di milioni di persone farà salire il potere d’acquisto, e l’accresciuta domanda dei consumatori schiuderà nuove opportunità d’impresa, generando ulteriori posti di lavoro. Inoltre, la costruzione della piattaforma Idc renderà possibile un esemplare incremento di produttività lungo la catena del valore, potenziando, ancora una volta, l’effetto moltiplicatore in tutto l’organismo economico.
L’alternativa, arroccarsi in una Seconda rivoluzione industriale ormai al tramonto, con opportunità economiche sempre più modeste, un Pil sempre più contratto, una produttività sempre più in calo, un tasso di disoccupazione sempre più alto e un ambiente sempre più inquinato, è improponibile: significherebbe avviare l’Europa su una lunga china di contrazione economica e i suoi abitanti verso il declino della loro qualità della vita.
La presidenza italiana del Consiglio europeo costituisce un’occasione unica per guidare l’Europa sulla via di una nuova era economica. Il percorso deve iniziare con la trasformazione dell’economia italiana attraverso la coesione di Stato, industria e società civile in un organico programma economico di lungo periodo e in un piano d’azione che punti a fare del paese un’autentica vetrina della nuova Europa digitale.