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Eur, tra il Velodromo e Tor di Valle. Roma sceglie il suo modello

 

Il quadrante sud-est di Roma è in movimento. Lo è ormai da alcuni anni. Nuove e vecchie architetture al centro di un progetto di città che prevede l’incremento dei servizi, l’implementazione di luoghi capaci di attirare l’attenzione. Definiti e in via di definizione come le torri di Purini-Thermes e Studio Transit e la Nuvola di Fuksas.

Peccato che in questa frenetica, a volte scomposta, ricerca di spazi nei quali produrre nuove architetture non sempre l’azione sembra essere stata il naturale esito di un ponderato ragionamento. Anzi, l’impressione che si ha è proprio quella di un colossale e timido sovrapporsi di criticità non affrontate preventivamente. Un’impressione rinsaldata da opere che, lontane dall’essere completate, hanno comportato un radicale stravolgimento dell’area dell’insediamento. Come accaduto per l’ Acquario del Laghetto. Ma anche da interventi che, dopo la fase della dismissione e quindi dell’avvio dell’asportazione di alcune parti, avrebbero dovuto contemplare l’abbattimento e quindi la ricostruzione. Come non si è verificato per le torri di proprietà del Ministero delle Finanze, affacciate su via Cristoforo Colombo. Un progetto firmato da Renzo Piano, avviato nel 2005. Come non differentemente non è accaduto al palazzone occupato dalla Banca Intesa San Paolo, tra viale Rembrandt e via dell’Architettura. Anche questo da anni ridotto a “scheletro”. La precarietà indiziata dall’architettura dismessa, ormai sclerotizzata.

Sfortunatamente non è tutto. Si è fatto molto di peggio. Al Velodromo Olimpico di viale della Tecnica, la struttura progettata da Ligini, Dagoberto Ortensi e Ricci. Inaugurata nel 1960 e scriteriatamente abbattuta nel 2008 per costruire un grande parco acquatico, la “Città dell’acqua”. Un progetto mai partito, targato Eur Spa, sui cui vertici pesa anche l’accusa di disastro colposo per la vicenda dell’implosione della struttura e per l’ipotesi di disastro colposo per amianto.

In compenso sull’area si sarebbero voluti realizzare secondo una delle delibere urbanistiche di Alemanno discusse nell’ultima seduta di giunta, quattro palazzi e due grattacieli. Per buona pace anche dei residenti della zona non se ne è fatto niente. Ma è più che evidente che espletate le eventuali, necessarie, ulteriori, opere di bonifiche, dell’area dell’ex Velodromo bisognerà fare qualcosa. Utilizzarne in maniera propria gli spazi. Magari, se non sarà possibile destinarli a verde pubblico, al potenziamento delle strutture a servizio dell’utenza del municipio.

Da un’architettura abbattuta ad una che potrebbe avere lo stesso destino. L’ippodromo di Tor di Valle di Lafuente, Rebecchini e Virago. Un’opera inserita nella Carta per la Qualità del piano regolatore e compresa nella selezione delle opere di rilevante interesse storico-artistico realizzate dal 1945 in poi.

Al posto delle gradinate dell’opera nelle vicinanze di via del Mare, quelle di uno stadio. Quello della AS Roma, progettato da uno specialista americano, Dan Meis. Il quale sembra volersi ispirare al Colosseo. Se ciò si verificasse davvero sarebbe l’ulteriore occasione persa. Di valorizzare il patrimonio architettonico esistente in nome di operazioni che non possono non definirsi a valenza prevalentemente commerciale. Come d’altra parte indizia in maniera tutt’altro che episodica il fatto che l’area è stata acquistata da Eurnova, una società dei Parnasi, una delle più note famiglie romane di proprietari terrieri-costruttori.

La crisi irreversibile dell’ippica con il conseguente numero progressivamente minore di corse e quindi la recente chiusura dell’impianto, sembra aver decretato la sorte dello storico ippodromo. Forse con troppa nonchalance si è deciso di disfarsi anche di questo pezzo di architettura moderna. Di non interrogarsi se sia possibile un’alternativa alla demolizione. Di ragionare se l’abbattimento sia l’esito scontato e quasi naturale della sua defunzionalizzazione.

È così che Tor di Valle elevandosi dal suo ruolo particolare può diventare un caso generale. Che travalica i confini del municipio e perfino quelli assai più complessi della città. Fino a farsi una vera e propria questione di metodo. Lo sforzo, indubitabilmente poderoso ma utile per costruire città-palinsesto, è quello di ragionare sul fatto che l’abbattimento di un edificio, di un complesso, non può essere considerato sempre ordinaria amministrazione.

L’idea che il centro urbano possa rinnovarsi soltanto attraverso una duplice operazione che preveda prima la cancellazione e poi l’aggiunta, non può essere perseguita in maniera acritica. La città “ferma”, museificata, è un nonsense quando non sia Pompei, Ostia, oppure uno dei centri urbani antichi e tardo-antichi sui quali non ci sia continuità di vita. Allo stesso modo è irrazionale sottrarre, con disinvoltura, alle città edifici importanti che non servono più.

Per queste ragioni, perché l’abbattimento del Velodromo è stato uno scempio architettonico e urbanistico e quello di Tor di Valle lo sarebbe non di meno, l’Eur, addirittura una parte di esso, diventa straordinariamente importante. Anche per capire cosa debba essere Roma. Come la si immagina.

U. Croppi

Huffingtonpost.it

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