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di Claudio Marinicola
Piante rampicanti, ficus, felci, corridoi che sembrano interni di un vivaio. E poi spazi comuni ben curati, persone che senza conoscerti incontrandoti per le scale ti dicono buongiorno e buonasera. Corviale, 9° piano. Il punto più alto del «Kilometro», lo sterminato blocco di cemento edificato 35 anni fa accanto alla Portuense, tra le riserve naturali della Tenuta dei Massimi e della Valle dei Casali. Salendo ancora due rampe di scale si raggiungono le terrazze, una pista d’ atterraggio e decollo, un affaccio unico sulla campagna romana. Visto da fuori, Corviale è un posto da cui scappare il più velocemente possibile. Da dentro, per chi ci abita, invece è un luogo dell’ anima. «Vengono a vederlo da tutto il mondo: studenti, architetti, ingegneri. E quando salgono quassù non credono ai loro occhi. I giapponesi cominciano a fotografare e non la smettono più: impazziscono letteralmente», racconta Angelo Scamponi, vice presidente dell’ associazione inquilini, che ci fa da Cicerone. Se l’ Empire State Building è il punto di riferimento verticale del vecchio skyline newyorkese, questo immenso transatlantico ancorato alla terra è il cruciverba orizzontale di Roma: 6500 abitanti (più di un terzo del quartiere), 1205 appartamenti regolari, più 120 nuclei sanati. Non c’ è studio sulle periferie che possa prescindere da questo sgorbio urbanistico che qui chiamano Serpentone. Follia ideologica allo stato puro, architettura ispirata a Le Courbusier. Il punto più estremo segna la fine della città. «Venga, si accomodi pure, le faccio vedere – ci fa strada Armando De Persio, che abita quasi al confine di questo emisfero – pago circa 200 euro al mese di canone che diventano poco meno di 300 con riscaldamento e spese varie. Ma quando apro la finestra davanti ai miei occhi c’ è solo campagna. Lo sguardo respira. D’ estate si sta freschi, d’ inverno non fa freddo. Non cambierei questo posto facilmente». Cento metri quadrati. Tanti per una casa popolare. Il signor Armando ci vive con la moglie e la figlia. Faceva il cuoco da Vanni, ora è in pensione. Il suo appartamento è ben curato. Alle pareti la foto di nipoti, cugini e zii. «Il professionista sarei io ma a casa cucina mia moglie. Domenica scorsa ha fatto le lasagne, oggi abbiamo già preparato e surgelato i cannelloni per la prossima. A tavola saremo almeno in 15». Come è lontana da queste atmosfere casalinghe e ospitali la Corviale simbolo del degrado. L’ essenza del brutto, il fallimento dell’ utopia architettonica. Sua la colpa (di Corviale) se il Ponentino non soffia su Roma. Sua la colpa se il progettista (l’ architetto Fiorentino) si suicidò. Leggenda metropolitana cui pure si è creduto per anni. «Se soltanto venissero a sistemarci le facciate… basterebbe un po’ di manutenzione», sospira Giovanna Proietti. Mentre Anna Onofri, anche lei inquilina del «Kilometro» si lamenta «per gli ascensori che si rompono continuamente». Tanto che lei, non più giovanissima, per protestare qualche tempo fa arrivò a occupare insieme ad altri la sede dell’ Ater di via lungotevere Tor di Nona. Il punto debole del gigantesco palazzo è sempre stato il quarto piano: il boulevard. Secondo il progetto originario avrebbero dovuto starci i negozi ma non furono mai aperti. Oggi sono appartamenti veri e propri abitati da inquilini che hanno chiesto e ottenuto la sanatoria. Tra gli occupanti, non più abusivi, rientrano anche i preti della «Fraternità dell’ incarnazione», una comunità che ha il suo quartier generale in un’ ala del piano. «Potete entrare ma senza fotografare», si raccomanda un religioso, mostrandoci la terrazza dove gli ospiti pranzano quando le giornate sono belle e radiose. Una piccola città nella città. Sedi di associazioni, di partiti, chiese. Sarà per questo senso di colpa che l’ accompagna, che il quadrante di Corviale pullula di vita sociale. Arte, cultura, sport, tempo libero. Il cuore rimane la biblioteca comunale di via Mazzacurati. Il pomeriggio si riempie di studenti universitari. Nel rilevamento di due anni fa furono censiti 54 giacimenti culturali e sportivi. Un campo da rugby, una piscina comunale che funziona anche d’ estate grazie al tetto apribile, 4 palestre, due centri sportivi. Tanto che il quartiere è stato proposto e riconosciuto idoneo per gli allenamenti delle paraolimpiadi dei Giochi del 2020. Criminalità e delinquenza sono in media con le altre zone «neutre». Si spaccia e le siringhe spuntano come altrove. Cinque linee di autobus collegano il quartiere con il resto della città: 98, 889, 786,785, 775. Si fa presto, insomma, a dire «abbattiamo il mostro». «Basterebbe – sostiene Pino Galeota, ex consigliere comunale e oggi coordinatore di Corviale Domani utilizzare i 23 milioni di euro messi a disposizione da diverse istituzioni per riqualificare il Serpentone. Il progetto è già pronto, aspettiamo la gara». Da qualche settimana un «laboratorio urbano» ha avuto l’ idea di organizzare visite notturne. L’ iniziativa si chiama Corviale by night. Carlo e Alessio, due fans del quartiere, fanno conoscere ai visitatori i segreti del Serpentone. I biglietti vanno a ruba. Un’ altra follia. Cose che capitano a Corviale.
Pensare che i cittadini di Corviale un giorno avrebbero potuto amare il «mostro» era quasi impensabile. Affezionarsi all’ alveare umano? Macché, impossibile. Eppure è così. E c’ è chi ha fatto anche di più: Monica Melani ha trasformato il ventre del Serpentone in uno spazio artistico: il Mitreo. É stato ricavato sotto i locali che ospita il consiglio del XV municipio. Per realizzarlo c’ è voluta tutta la sua cocciutaggine. Spiega Monica: «Sembrava un’ impresa irrealizzabile, realizzare un centro di arte contemporanea in un territorio considerato periferia. Quando sono andata a presentare questa idea mi hanno preso per pazza». Ho vissuto l’ emarginazione dell’ artista continua Monica, splendida cinquantenne . Il mio sogno è sempre stato dare a chi lo merita la possibilità di esprimersi. Grazie ai fondi della legge Bersani, nel 2007 Monica riuscì ad aggiudicarsi un bando per lo sviluppo delle imprese per le periferie. Sembrava fatta e invece i problemi sono cominciati proprio in quel momento. «Per poter usufruire dei finanziamenti, 98 mila euro, serviva un investimento iniziale. Ho bussato a varie porte, stavo quasi per rinunciare lei ammette entravo nelle banche e uscivo che piangevo. Se alla fine ce l’ ho fatta è solo grazie alla fiducia di alcuni imprenditori locali, del centro commerciale di zona e a un prestito di mio fratello. Ma è stata dura. Ricordo il giorno in cui per la prima volta feci vedere i locali a mia madre: non c’ era nulla. Lei mi disse: ma sei matta?». Il resto è una storia a lieto fine. Monica lasciò il suo posto di impiegata in una società privata e iniziò a occuparsi a tempo pieno del «suo» Mitreo. E sua madre oggi è una delle frequentatrici più assidue. Dopo il primo finanziamento ne è arrivato un secondo anche se non è bastato a installare il riscaldamento. Il Mitreo è un piccolo gioiello di 900 metri quadrati. Gli allestimenti li ha curati Roberto Cianfrone, lo scenografo di «Ballando con le stelle». Un po’ alla volta e a furia di sacrifici è venuto tutto il resto. «Lo vede quel bancone? Un amico mi ha telefonato per dirmi che un bar lo stava portando via, se trovavo un furgone per trasportarlo avrei potuto prenderlo, ma dovevo fare in fretta. Le finestre danno sugli uffici interni dei vigili urbani. Ogni tanto qualche agente passa e saluta. Alcuni ragazzi stanno smontando e portando via le opere esposte per l’ ultima mostra, altri arrivano per la prossima. Arte contemporanea ma la vena ruota a 360 gradi. Dai presepi allestiti da Michele alla scuola di pittura energetica. E fuori c’ è lui che apprezza. Il «mostro».
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